Mister Cesare Albè: “E’ stata in assoluto la stagione più pesante per me”

  • 13 Maggio 2016
  • Redazione
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Il mister della nostra squadra ha concesso una lunga intervista ai colleghi de ‘Il Fatto Quotidiano’. Cesare Albè, da ventidue anni sulla panchina della Giana, racconta del suo approccio ai campi di calcio, iniziando da quello della Pierino Ghezzi, squadra di Cassano d’Adda (Milano), militante nella Terza Categoria di Monza:

Io alla Ghezzi ci sono cresciuto e ho capito cosa significa il calcio. Segnavo il campo, pulivo gli spogliatoi, a volte non avevamo nemmeno i palloni per allenarci, ma è il posto che più porto nel cuore. Mi ricordo di tutti i miei ragazzi. C’era Pirovano, un portiere classe ’61, che non è stato preso all’Inter perché era troppo basso. Gli hanno preferito Zenga. Io non ho mai cambiato il mio approccio al calcio. Al centro di tutto ci sono sempre le persone, da questa cosa non puoi scappare. Quando in sogno immagino di allenare il Milan non mi vedo diverso da quello che sono oggi. Mi comporterei allo stesso modo”.

Un pensiero al club biancoceleste, che si è guadagnato la seconda salvezza consecutiva nel terzo campionato professionistico:

Il secondo anno è sempre il più complicato ma questa è stata in assoluto la stagione più pesante per me. Forse è colpa dell’età. Il rischio è quello di abituarsi a tutto, anche a qualcosa di eccezionale come quello che stiamo facendo noi a Gorgonzola. Il calcio professionistico ha una serie di sovrastrutture che tendono ad allontanare le persone. Steward, barriere, controlli. Però La provincia aiuta molto, per quello che ti insegna. La tattica non conta nulla se non c’è l’empatia e quella non si può insegnare. 4-3-3, 3-5-2, movimenti vari, a qualcuno nemmeno le devi dire queste cose”.

Racconta della sua avventura a Coverciano:

Temevo Coverciano. Alla mia età non è facile mettersi in gioco ma vengo da una famiglia che mi ha sempre insegnato l’importanza di fermarsi a riflettere. Il corso è stato per me la conferma che l’Italia è davvero l’Università del calcio e che un allenatore per completare la sua formazione tecnica dovrebbe passare qui da noi. Ho apprezzato soprattutto Sarri e Longo però la cosa che mi è piaciuta di più è stata la parte successiva alle lezioni. Sarei rimasto ore a parlare di calcio con gli altri allenatori. L’unico metodo che conosco per crescere è quello del confronto. Chi fa l’allenatore è già gratificato. Siamo come la maestra delle scuole Elementari. Io ancora mi ricordo la mia e mi ricordo il rispetto che continuavo a portarle una volta cresciuto. Io non voglio pensare che un allenatore serva solo per insegnare calcio e quando vedo che qualcosa torna indietro mi sento fortunato. Il calcio deve essere uno strumento, un ponte per unire le persone. Qualche giorno fa mi hanno raccontato che già da bambino, nel cortile della cascina dove sono nato, dicevo agli altri come e dove giocare, ero già un allenatore. Dev’essere qualcosa che mi porto dentro. Sono stato fortunatissimo, ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. I sogni servono sempre ma non posso immaginare più di questo. Io sarei stato contento anche se avessi allenato tutta la vita la Pierino Ghezzi

Infine ringrazia chi è stato accanto a lui in tutti questi anni:

Devo dire grazie a mia moglie per avermi sopportato. Ho iniziato a trent’anni con l’idea di dare una mano e sono trentasei anni che passo le giornate sui campi. Ancora oggi capita di arrivare tardi perché sono con i miei nipoti. Non è questione di essere professionisti o dilettanti, è questioni di essere persone, con la consapevolezza di non aver inventato nulla”.

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